Da “Beam me up, Scotty” a “Atlas, passami la borsa”.
A noi sembra naturale spostarci nel nostro ambiente ed eseguire operazioni che definiamo semplici, ma riprodurle e insegnare ad una macchina ad imitarci comporta uno sforzo immane.
Atlas passami la borsa Boston Dynamics
Il nostro corpo è pervaso completamente da sensori, o sensi, biologici naturali: vista, tatto, olfatto, gusto, udito.
In pratica noi siamo sensori viventi che ci interfacciamo con la nostra vita, il tutto elaborato dalla nostra unità centrale, il cervello.
Mettere in condizioni macchine, in questo caso definite come umanoidi, di replicare i nostri comportamenti attraverso una interazione digitale con il mondo esterno è una delle sfide che ha da sempre affascinato l’uomo.
Pur semplificando ed eliminando qualche senso, tipo olfatto e gusto (anche questa una bella sfida), i rimanenti sensi da replicare come dovranno essere gestiti? Cercando una replica il più vicino a quella umana oppure aggirare l’ostacolo o creandone simili ma di diverso tipo?
Come ci sono arrivati?
La risposta viene solamente dal duro lavoro e dalla esperienza che, a fronte di un’idea e progetto, evolve continuamente. Un lavoro fatto di prove, sbagli, tentativi, errori e intuizioni geniali.
Questa mia introduzione, si riferisce ad un filmato che ho visto in rete relativo all’evoluzione di Atlas il modello di punta della Boston Dynamics (per me appassionato di serie televisive il riferimento alla Massive Dynamics della serie Fringe è automatico 😊).
Il filmato in questione è un degli ultimi di una serie che descrivono l’evoluzione di questo tipo di robot al quale hanno aggiunto anche le pinze con funzione di presa.
Mi sembra un Fake!
I primi filmati della Boston Dynamics che vedevo in rete e sui social pensavo fossero dei fake, cioè delle elaborazioni fatte in Computer Grafica, dato che oramai ci fanno anche i film. I movimenti erano troppo perfetti e sincronizzati e davano proprio l’impressione che certi movimenti eseguiti all’unisono fossero il risultato di un montaggio di computer grafica.
Invece è tutto vero il robot è reale e il tempo speso nella progettazione e nelle prove fisiche è impressionante, il team che ci lavora è multifunzionale e va dall’ingegnere informatico allo specialista 3D, al ingegnere meccanico e elettronico, senza contare il team specialistico nella definizione dei movimenti con esperienza nel Parkour.
Il dietro le quinte del filmato
In questo filmato viene spiegata tutto il lavoro e la complessità che ha portato a questo risultato.
Se iniziamo appena ad essere avvezzi al riconoscimento della voce (vedi Alexa di Amazon, ecc.), questa evoluzione ci proietta in un futuro al limite della fantascienza.
Ma cosa si può definire fantascienza?
Quando maneggiamo uno smartphone possiamo fare riferimento a film degli anni 70 (Star Trek) dove tramite “comunicatore” il Capitano Kirk chiamava la risalita tramite teletrasporto con la famosa frase “Beam me up Scotty”. In effetti già viviamo nella fantascienza (teletrasporto a parte), si tratta solamente di dilatare l’orizzonte temporale dove la distanza tra la fantascienza e il “futuro presente” si accorcia sempre di più.
Quindi a quanto pare oggi possiamo dire “Atlas, passami la borsa” .
Fonti