Per molti sarà un dettaglio trascurabile il fatto che utilizzando internet tramite motori di ricerca o spedendo messaggi e-mail ci siano degli strumenti che rilevano e memorizzano una serie di informazioni che possono stabilire il profilo degli utilizzatori e utilizzare queste informazioni a scopo commerciale per essere rivenduti a società terze violando in parte la nostra privacy.
Per altri può diventare un’ossessione il fatto che i propri comportamenti possano essere utilizzati per proposte commerciali o anche semplicemente per essere incasellati in una categoria di “consumatore tipo” ed essere bersagliati da richieste o informazioni pubblicitarie che “pensano” di sapere quali siano i propri interessi.
La cosa certa è che l’utilizzo di strumenti di rete quali: motori di ricerca, e-mail, social media, applicazioni sia per PC che per smartphone, recuperano sempre le informazioni di chi le utilizza.
Il tracciamento inizia da subito dal fornitore dei servizi di telefonia e rete
Anche semplicemente dall’inizio dell’utilizzo della rete, infatti anche il nostro fornitore di rete internet ha traccia di tutte nostre le nostre attività quando accediamo a internet.
Non illudiamoci quindi che la semplice navigazione in incognito oscuri i nostri comportamenti e quello che andiamo a vedere in rete per leggere, informarci, ricercare.
È un falso problema?
Personalmente non mi pongo questo problema e considero un equo scambio di valori il fatto di poter utilizzare gratuitamente una serie di risorse messe a disposizione dalla rete e dalle cosiddette Big Tech che diversamente costerebbero quattrini per poter essere utilizzate.
Per esempio la mail; per uso personale (non sto chiaramente parlando di ambienti di business) è una gran comodità e il suo successo è dovuto al fatto di essere gratuita e quindi utilizzabile senza spendere un euro.
Se poi per esempio volessi anche utilizzare fogli di calcolo, editore di documenti o spazio di archiviazione (ad esempio io uso Google Workspace), quanto mi costerebbe se dovessi pagare tutta questa serie di “commodities” che sono gratuitamente messe a disposizione?
Ma non vi ricordate quanto costavano i Tom Tom e i relativi aggiornamenti?
È logico che se uso un navigatore tipo Google Maps questo tracci i miei spostamenti e sappia in qualsiasi momento dove mi trovo. Lo sto usando proprio per questo e quindi quale è il problema?
Ad esempio io ho anche attivato il tracciamento storico che riporta la cronologia dei miei spostamenti e più di una volta l’ho utilizzato per vedere, in caso di evento tipo contravvenzione per superamento della velocità consentita (Sigh! ero proprio lì), oppure per vedere quando mi sono recato in quella località che strada avevo fatto ed altre amenità del genere.
Tutta questa alzata di scudi per il discorso della privacy in molti casi mi sembra fin troppo accentuata ed esagerata in quanto basta essere consapevoli della propria situazione ed essere consci che per qualsiasi cosa un prezzo si deve pagare.
L’aspetto economico della privacy e delle informazioni fornite
“Ma queste società stanno facendo miliardi utilizzando i miei dati”, cosa è invidia? Io utilizzo una serie di strumenti a costo zero, li utilizzo giornalmente e ci si può anche lavorare senza avere nessuna spesa quindi per quale motivo non dovrei cedere una parte delle mie informazioni come scambio?
I comportamenti illegali
Questo è un capitolo a parte, chi vuole truffare o avere comportamenti illegali continuerà a farlo.
Avete mai provato ad iscrivervi al sito del garante della privacy inserendo il proprio numero di telefono per evitare di ricevere decine di chiamate per cambiare fornitore di acqua, luce, gas o provider telefonico?
Non serve a nulla, chi perpetua comportamenti illegali continuerà a farlo.
I siti web e i cookies di profilazione
Anche l’aspetto relativo ai famosi “Cookies”, quei piccoli file che vengono scaricati quando si visita qualsiasi sito in rete. Il GDPR ha stabilito ferree regole attraverso le quali il visitatore deve dare il consenso alla ricezione o meno dei cookies che possono profilare l’utente.
Quale è il risultato? Che il 98% dei visitatori di un sito non si legge tutte le clausole che stabiliscono le regole e continua imperterrito ad accedere al sito che sta consultando perché interessato al risultato della sua ricerca; in quanto spesso le clausole riportate sono troppo lunghe per essere lette. E questo sarebbe consenso informato? Mah? A me non sembra.
Nei prossimi articoli proveremo a fornire informazioni sulle tecnologie che possono mitigare questo problema; se di problema si tratta.
immagine in evidenza: Open AI – Prompt: internet_privacy_main_green_color_with_people_in_splash_sustainable_architecture (post production)