Il sapore di frutta e verdura acquistata nei supermercati non è più lo stesso di una volta, e non si tratta solo di nostalgia o di gusti che cambiano con il tempo.
Dietro questo fenomeno, infatti, esistono cause scientifiche ben precise. Studi condotti negli ultimi decenni confermano un progressivo impoverimento sia del sapore sia delle proprietà nutritive di molti prodotti ortofrutticoli. Questo cambiamento, osservato da metà del Novecento, ha avuto un impatto significativo non solo sulla qualità alimentare, ma anche sulla percezione che i consumatori hanno di questi prodotti.
Il declino del sapore: dati e percezioni
Secondo un sondaggio condotto dall’Osservatorio Ismea-Agroter, quasi un terzo degli italiani si dichiara insoddisfatto del sapore di frutta e verdura comprata al supermercato. Questo malcontento ha solide basi: le tecniche di produzione e conservazione attuali, se da un lato hanno permesso di aumentare le quantità disponibili di prodotti freschi, dall’altro hanno influenzato negativamente le qualità organolettiche di questi alimenti. Il fenomeno noto come “effetto diluizione” è tra le cause principali: prodotti più grandi e più belli esteticamente risultano spesso meno gustosi e poveri di nutrienti rispetto ai loro omologhi di una volta.
Produzione intensiva e agricoltura industriale
Dal Dopoguerra in poi, la necessità di soddisfare una crescente domanda alimentare ha spinto l’agricoltura verso pratiche di produzione intensiva. L’uso massiccio di fertilizzanti, la coltivazione in serra e i lunghi trasporti a cui sono sottoposti i prodotti ortofrutticoli hanno modificato il loro profilo nutrizionale e gustativo. L’effetto diluizione descrive precisamente questo fenomeno: più un frutto o una verdura risultano grandi e perfetti esteticamente, meno intensi saranno il loro sapore e i loro valori nutritivi. Inoltre, il terreno stesso, sfruttato senza tregua, non riesce a rigenerare completamente i nutrienti necessari per una crescita bilanciata delle piante.
Frutti climaterici e non climaterici: una differenza cruciale
Per comprendere meglio come il processo di maturazione influenzi il sapore, è utile distinguere tra frutti climaterici e non climaterici. I primi, come pomodori, mele e banane, possono maturare anche dopo la raccolta grazie alla produzione di etilene, un gas che decompone la clorofilla e rende il frutto più colorato e morbido. Tuttavia, se questi frutti vengono raccolti troppo presto, quando non hanno ancora accumulato sufficiente amido, il risultato sarà un alimento dall’aspetto invitante, ma dal sapore deludente. Al contrario, i frutti non climaterici, come fragole e agrumi, interrompono la loro maturazione appena vengono raccolti, rendendo cruciale il momento della raccolta per garantire la qualità.
Il ruolo della catena del freddo
Un altro fattore che incide negativamente sul sapore e sulle proprietà nutritive è la catena del freddo. La refrigerazione è fondamentale per mantenere i prodotti freschi durante il trasporto, ma se prolungata, può alterare gli enzimi che sintetizzano le sostanze aromatiche. Uno studio pubblicato su PNAS nel 2016 ha dimostrato che i pomodori conservati a temperature inferiori ai 12 gradi per troppo tempo perdono gran parte delle molecole volatili che ne determinano l’aroma. Lo stesso vale per altri ortaggi e frutti che percorrono lunghe distanze prima di arrivare sugli scaffali dei supermercati, con conseguente riduzione del sapore e del valore nutritivo, specialmente in termini di vitamine e sali minerali.
La perdita di nutrienti: un fenomeno preoccupante
Un’ulteriore preoccupazione legata alla produzione intensiva è la perdita di nutrienti nei prodotti ortofrutticoli. Nel 2004, il Journal of American College of Nutrition ha pubblicato uno studio che evidenziava una riduzione significativa di 13 nutrienti in 43 specie di colture orticole tra il 1950 e il 1999. In media, il contenuto di proteine, calcio, ferro e vitamine si è ridotto del 40%. Ad esempio, oggi sarebbero necessarie otto arance per fornire la stessa quantità di vitamina A che una singola arancia conteneva per i nostri nonni.
Questo fenomeno è legato all’uso di fertilizzanti azotati, che sebbene favoriscano la crescita in termini di volume, riducono la capacità della pianta di assorbire altri nutrienti essenziali per la salute umana. A differenza dell’azoto, elementi come il potassio e il calcio sono cruciali per migliorare il sapore e conservare le proprietà nutrizionali.
L’impatto dell’innovazione agricola: pro e contro
Negli ultimi decenni, l’industria agroalimentare ha cercato di rispondere alla domanda crescente di cibo, sviluppando varietà ibride di frutta e verdura. L’obiettivo era migliorare la resa e garantire un aspetto più uniforme, a scapito del sapore. La coltivazione in serre riscaldate, dove le piante non vedono mai la luce solare diretta, ha ulteriormente contribuito alla perdita di aromi e sapori autentici. La luce del sole, infatti, è essenziale per la produzione di etilene e zuccheri, elementi che conferiscono dolcezza e sapidità ai frutti.
Quali soluzioni esistono?
Per quanto il quadro possa sembrare scoraggiante, esistono soluzioni che possono migliorare sia il sapore che il valore nutritivo di frutta e verdura. Una delle risposte più semplici è optare per l’acquisto di prodotti locali, a chilometro zero e di stagione. Questi prodotti, non dovendo affrontare lunghi trasporti e conservazioni prolungate, mantengono una maggiore freschezza e un profilo nutrizionale più ricco. Inoltre, un ritorno a pratiche agricole più sostenibili, con ritmi di produzione che rispettano i cicli naturali del terreno, può aiutare a ripristinare la qualità dei nostri alimenti.
Anche i consumatori possono svolgere un ruolo cruciale: scegliere prodotti che rispettano criteri di sostenibilità e biodiversità può incentivare i produttori a ridurre l’uso di fertilizzanti chimici e a favorire metodi di coltivazione meno intensivi. Le politiche agricole dovrebbero quindi promuovere un modello di produzione e consumo più in linea con i cicli naturali, preservando il gusto e la qualità dei cibi che portiamo sulle nostre tavole.
Foto: Pexel.com
Fonti: Pnas.org – National Library of Medicine