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Acqua contaminata da Pfas: nuovi limiti per proteggere la salute pubblica

Scopri l'impatto diffuso dell'inquinamento da PFAS sull'acqua e le sfide nel contrastarlo.

Una svolta normativa attesa da tempo

Con l’approvazione del decreto legge sui limiti dei Pfas nelle acque potabili, l’Italia compie un importante passo avanti nella tutela della salute pubblica e dell’ambiente.

Il provvedimento, approdato in Parlamento lo scorso marzo dopo il via libera del Consiglio dei Ministri, stabilisce nuovi valori soglia per la presenza dei composti poli e perfluoroalchilici nell’acqua potabile. Una decisione che segue la crescente preoccupazione per la diffusione di queste sostanze inquinanti, ormai note come “inquinanti eterni” per la loro persistenza nell’ambiente.

Cosa sono i Pfas e perché preoccupano

I Pfas (sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche) sono composti chimici largamente utilizzati in processi industriali e in prodotti di uso quotidiano, come rivestimenti antiaderenti, schiume antincendio e tessuti impermeabili. La loro resistenza alla degradazione li rende altamente persistenti nell’ambiente, accumulandosi negli organismi viventi e rappresentando una minaccia concreta per la salute umana.

Numerosi studi scientifici, tra cui quelli dell’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa), hanno associato l’esposizione prolungata ai Pfas a patologie come disfunzioni ormonali, problemi immunitari, malattie epatiche e aumentato rischio di alcuni tipi di cancro.

I nuovi limiti approvati: tra progresso e compromessi

Il decreto stabilisce un valore massimo di 20 nanogrammi per litro per la somma di quattro Pfas specifici: Pfoa, Pfos, Pfna e Pfhxs, riconosciuti come tra i più pericolosi per la salute. Questo limite si allinea con quello attualmente adottato in Germania, ma resta più permissivo rispetto a standard più severi adottati in altri Paesi europei, come la Danimarca (2 ng/L) o la Svezia (4 ng/L).

Il provvedimento include inoltre per la prima volta un tetto massimo per l’acido trifluoroacetico (Tfa), una molecola della stessa famiglia dei Pfas, rilevata in diverse aree italiane. Il limite stabilito è di 10 microgrammi per litro, ovvero 10.000 nanogrammi, una concentrazione ancora oggetto di dibattito tra comunità scientifica e associazioni ambientaliste.

L’Estensione del monitoraggio ad altre molecole

Non solo i Pfas classici: il decreto introduce il monitoraggio di altre molecole perfluorate meno conosciute ma potenzialmente altrettanto pericolose, come le Adv, sostanze prodotte storicamente da industrie chimiche come l’ex Solvay di Alessandria, oggi Syensqo. Si tratta di un ampliamento importante del campo di osservazione, che potrebbe facilitare azioni più mirate e tempestive a tutela della salute pubblica.

Le Pressioni dal mondo scientifico e ambientale

Nonostante i progressi, Greenpeace Italia e altre organizzazioni ambientaliste non nascondono le loro perplessità. Il valore di 20 nanogrammi per litro è ritenuto ancora troppo elevato per garantire una protezione efficace, mentre l’inclusione del Tfa, pur positiva, viene giudicata tardiva. Per queste ragioni, le associazioni chiedono l’introduzione dello “zero tecnico” come obiettivo, ovvero la completa eliminazione di questi inquinanti dalle acque potabili.

Secondo Greenpeace, l’unica strategia realmente efficace per la salute pubblica è il divieto totale di produzione e utilizzo dei Pfas, accompagnato da un programma sistematico di bonifica delle aree contaminate e monitoraggio permanente delle acque.

L’impatto della denuncia pubblica: il ruolo di Greenpeace

L’azione del governo è giunta dopo la pubblicazione del rapporto “Acque senza veleni” di Greenpeace Italia, che ha denunciato una contaminazione diffusa da Pfas in gran parte del territorio nazionale. Il dossier ha esercitato una forte pressione sull’opinione pubblica e sui decisori politici, spingendo verso una normativa più rigorosa.

La relazione ha evidenziato che la contaminazione interessa praticamente tutte le regioni italiane, con livelli preoccupanti in molte città. Grazie a campionamenti puntuali, è stato possibile individuare le aree più colpite, sollevando interrogativi urgenti sulla sicurezza delle reti idriche e sulla trasparenza dei controlli.

Acqua contaminata da Pfas: nuovi limiti di legge in Italia per ridurre l’esposizione e tutelare la salute. Ecco cosa prevede il decreto

Le regioni italiane più esposte all’inquinamento da Pfas

Secondo l’indagine di Greenpeace, le regioni italiane con i più alti livelli di Pfas nelle acque potabili sono:

  • Liguria (8 campioni su 8 positivi)
  • Trentino-Alto Adige (4/4)
  • Valle d’Aosta (2/2)
  • Veneto (19/20)
  • Emilia-Romagna (18/19)
  • Calabria (12/13)
  • Piemonte (26/29)
  • Sardegna (11/13)
  • Marche (10/12)
  • Toscana (25/31)

In contrasto, alcune regioni del sud mostrano una situazione relativamente meno critica. Tra queste:

  • Abruzzo (3/8 campioni positivi, l’unica regione con meno della metà dei campioni contaminati)
  • Sicilia (9/17)
  • Puglia (7/13)

Questi dati mettono in evidenza una chiara frattura territoriale, suggerendo la necessità di interventi mirati e differenziati in base al livello di rischio e di contaminazione rilevato.

Le Prospettive e Le necessità

L’introduzione di limiti più stringenti rappresenta un passo in avanti, ma non è sufficiente a fronteggiare un problema che ha radici profonde e implicazioni sistemiche. Occorrono investimenti nella ricerca di alternative ai Pfas, nella bonifica dei territori contaminati e nel rafforzamento della rete di controlli.

Nel frattempo, è fondamentale che i cittadini siano informati sui rischi connessi alla contaminazione dell’acqua potabile, per poter esercitare una pressione consapevole e partecipare al dibattito pubblico.

Fonte: GreenPeace

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