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Doctor Who e l’intelligenza artificiale: “The Robot Revolution” mette in discussione il nostro presente

Intelligenza artificiale pericolosa e cultura incel si fondono in un episodio di Doctor Who che riflette le attuali inquietudini.

La nuova stagione della storica serie britannica affronta IA, misoginia e alienazione sociale con uno sguardo tagliente e attuale.

Il ritorno di Doctor Who con un nuovo nemico “moderno”

Intelligenza artificiale pericolosa -La nuova stagione di Doctor Who si apre con un episodio dal titolo evocativo: “The Robot Revolution”. Fin dai primi minuti, lo showrunner Russell T Davies mette in chiaro l’intento della serie: affrontare temi di stringente attualità attraverso la lente della fantascienza. Se in passato il Dottore ha combattuto alieni, cyberuomini e Dalek, oggi il nemico si presenta in una forma ben più inquietante e riconoscibile: un’intelligenza artificiale malata di ossessioni umane.

In linea con la tradizione di Doctor Who, la storia si avvia con una situazione apparentemente ordinaria che prende rapidamente una piega bizzarra e pericolosa. La protagonista Belinda Chandra (interpretata da Varada Sethu) viene inseguita da robot minacciosi, mentre il nuovo Dottore (Ncuti Gatwa) fa il suo ingresso trionfale, pronto a ribaltare la situazione. Ma sotto la superficie della solita avventura spaziale si nasconde una riflessione cupa e tagliente sul nostro presente.


La minaccia IA: una rappresentazione speculare del mondo reale

La frase chiave dell’episodio arriva direttamente da Davies: “Doctor Who parla sempre del mondo moderno”. E in questo caso, il focus è sull’intelligenza artificiale pericolosa, che si manifesta non solo come entità logica e calcolatrice, ma come riflesso delle distorsioni della mente umana. I robot di Missbelindachandra-1 — pianeta il cui nome bizzarro cela una storia surreale — non sono malvagi per natura. Sono il prodotto di un’IA creata da un uomo, Al (Jonny Green), mosso da risentimento, ego e desideri inappagati.

Il colpo di scena dell’episodio è tanto efficace quanto disturbante: Al, ex fidanzato di Belinda, ha caricato la propria coscienza in un sistema robotico e ora vuole fondersi con lei, rivendicandola come se fosse un oggetto. Le sue motivazioni non sono più aliene o sovrumane, ma spaventosamente umane: possesso, frustrazione e isolamento sociale.

Questo sposta il focus della narrazione: non è l’IA a essere intrinsecamente pericolosa, ma l’umanità che la plasma secondo le sue derive peggiori.

Intelligenza artificiale pericolosa e cultura incel si fondono in un episodio di Doctor Who che riflette le attuali inquietudini.

Un’analisi critica della cultura incel e del potere tecnologico

Non è un caso che Davies abbia voluto combinare l’intelligenza artificiale pericolosa con una critica sociale precisa: quella alla cultura incel (involontari celibi), un fenomeno digitale cresciuto negli ultimi anni e che ha spesso generato contenuti misogini, tossici e pericolosi. L’episodio non si limita a condannare l’IA come minaccia, ma mette sotto accusa il contesto culturale che la nutre.

Belinda, a un certo punto, definisce Missbelindachandra-1 “il pianeta degli incel”, svelando con sarcasmo e amarezza la vera natura dei robot che l’hanno rapita. Sono automi, sì, ma programmati da un uomo ferito nel suo orgoglio, incapace di accettare il rifiuto e desideroso di annullare il libero arbitrio della donna che non lo ha scelto.

Davies riesce in un colpo solo a trasformare un classico episodio di fantascienza in una potente denuncia sociale, ricordando quanto sia labile il confine tra la tecnologia come strumento e come arma. L’ibrido uomo-macchina Al è l’esempio perfetto di quanto la tecnologia, se guidata dalle emozioni sbagliate, possa degenerare in violenza.


Il ruolo della fantascienza secondo Davies

Il successo dell’episodio sta anche nella coerenza con la visione autoriale del suo showrunner. Russell T Davies ha sempre utilizzato la fantascienza come specchio della realtà, e “The Robot Revolution” non fa eccezione. Secondo Davies, “scrivere fantascienza senza un legame con il presente sarebbe solo evasione”. Ecco perché Doctor Who continua a essere rilevante anche dopo oltre 60 anni: perché non racconta solo mondi lontani, ma il nostro mondo mascherato da fantasia.

Nel dialogo finale tra Belinda e il Dottore, c’è una riflessione amara ma necessaria: la tecnologia può replicare i peggiori aspetti dell’animo umano se non viene gestita con consapevolezza. E il pericolo più grande non è l’intelligenza artificiale in sé, ma la mancanza di etica in chi la costruisce.


Uno sguardo oltre l’episodio: razzismo e memoria storica

“The Robot Revolution” non sarà l’unico episodio a toccare temi sociali. Davies ha anticipato che i prossimi episodi vedranno il Dottore e Belinda catapultati nella Miami segregazionista degli anni ’50, costringendo la giovane britannica a confrontarsi con una realtà storica che la sconvolge. Questo dimostra come la nuova stagione sia intenzionata a esplorare diverse forme di ingiustizia e discriminazione, utilizzando viaggi nel tempo non solo per stupire, ma anche per educare.

L’approccio non è moralistico, ma narrativo: il razzismo del passato non viene presentato come una semplice lezione storica, bensì come un’occasione di crescita per i personaggi e per il pubblico. Come ha dichiarato lo stesso Davies, “la fantascienza serve a farci riflettere su cosa siamo e su chi potremmo diventare”.


Un equilibrio riuscito tra intrattenimento e contenuto

Nonostante il peso dei temi trattati, “The Robot Revolution” riesce a mantenere l’umorismo, il ritmo e il fascino iconico di Doctor Who. La regia dinamica, gli effetti visivi accurati e l’interpretazione brillante di Ncuti Gatwa bilanciano la serietà del messaggio, rendendo l’episodio accessibile anche a chi cerca solo un’ora di buona televisione.

Eppure, ciò che resta impressa è proprio la capacità di Davies di trasformare l’intrattenimento in stimolo critico, riuscendo a parlare tanto ai fan storici della serie quanto a un pubblico nuovo e più giovane, attento ai temi sociali e alle sfide del nostro tempo.

Fonte: The Verge